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In questo sito troverete tutto ciò che non è stato mai detto relativamente alla vicenda delle Bestie di Satana.

Troverete i documenti originali del processo, scaricabili liberamente.

Le versioni di persone cui non era mai stata data voce fino ad oggi.

E una visione dei fatti completamente diversa da quella - ormai uniforme ma completamente falsa - dei mass media ufficiali.

Forniremo inoltre aggiornamenti periodici sulla vicenda.

sabato 4 gennaio 2014

Il caso Manson e il caso Bestie di Satana. Un confronto






1. Il caso in sintesi. 2. I dubbi, le lacune e le assurdità della ricostruzione ufficiale. 3. La simbologia del caso Manson. 4. Il caso Manson e il caso Bestie di Satana. 5. Il caso Manson e altri delitti celebri.
1. Il caso in sintesi.
La mattina del 10 agosto del 1969 in una villa di Bel Air a Los Angeles, al numero 10050 di Cielo Drive, vengono ritovati i corpi di 5 persone, orrendamente massacrati. Si tratta di persone note nel mondo degli affari e dello spettacolo: Sharon Tate (moglie del regista Roman Polanski) uccisa con diverse coltellate mentre era incinta di 8 mesi; Abigail Folger, figlia di un magnate dell’industria e il suo amante Voityck Frykowski; Jay Sebring, un parrucchiere di fama internazionale; e un giovane studente capitato lì per caso, Steven Parent.
Il giorno dopo un’altra coppia viene trovata orrendamente massacrata con modalità analoghe: Leno LaBianca e Rosemary LaBianca.
Le vittime vengono accoltellate decine di volte (Rosemary LaBianca 41 volte, Leno 12, oltre ad avere una forchetta infilata nel ventre e un coltello alla gola, e alcune di esse hanno il cranio sfondato). La profondità delle ferite è eccessiva (13 centimetri) e la larghezza anche (3 o 4 centimetri) tanto da far supporre che non sia stato usato un coltello ma un altro tipo di arma non identificata.
L’analogia tra i due delitti, oltre che per l’efferratezza di essi, sta nella scritta “Pig”, vergata con il sangue delle vittime, che viene ritrovata nella stanza della strage. Per la precisione, a casa Polanski viene rinvenuta la scritta “Pig”, a casa LaBianca la scritta “death to pig”.
Nessuna traccia, nessun indizio, nessun sospetto per diverse settimane.
Il padre di Sharon Tate non è una persona qualunque, ma un colonnello dei servizi segreti. Mentre la polizia brancola nel buio, anche lui conduce, in proprio, un’indagine personale, ma non verrà a capo di niente. Nessun sospetto, nessun indizio.
A un certo punto la svolta: alcune persone confessano gli omicidi e si autoaccusano della strage, coinvolgendo il leader della comunità hippie in cui vivevano, Charles Manson.
I colpevoli quindi vanno rinvenuti in una comunità che viveva nel deserto e si manteneva con mezzi di fortuna (rovistavano nella spazzatura dei supermercati, ad es., furti, ecc.). Erano quasi tutte ragazze, alcune minorenni, strafatte di droga e alcool: Susan Atkins, Patricia Krenwinkel e Linda Kasabian; unico uomo, Charles Tex Watson.
Nel delitto LaBianca, invece, venne coinvolta anche un’altra ragazza, Leslie Van Houten.
Manson sarebbe stato il leader di questo gruppo (che i media chiameranno “The Manson Family”), una sorta di padre padrone, che esercitava un fascino irresistibile su tutti i membri, e veniva venerato come un Dio.
Manson viene condannato alla pena di morte, commutata poi in ergastolo.
Le prove contro Manson: la testimonianza principale è quella di Linda Kasabian, che si autoaccusa dei delitti sostenendo che sarebbero stati ordinati da Manson (il quale però non partecipò materialmente agli omicidi).
Altri testimoni, pur non essendo presenti al fatto, affermeranno di aver sentito Charlie vantarsi degli omicidi, di aver raccolto le confessioni delle ragazze della banda, e testimonieranno che Manson era un violento che amava uccidere per il gusto di uccidere.
Il movente: secondo il procuratore Vincent Bugliosi, Manson voleva scatenare una rivolta dei neri contro i bianchi, e quella strage doveva dare il buon esempio, innescando la miccia di una rivolta globale. L’idea gli era stata suggerita da una canzone dei Beatles, “Helter Skelter”, e per questo motivo tale movente verrà anche, dai media ufficiali, individuato sinteticamente come “l’Helter Skelter”.
Le armi del delitto? Non vengono ritrovate. Unica arma, una pistola calibro 22 che un bambino ritroverà nella spazzatura e che viene riconosciuta da alcuni testimoni come “una pistola uguale a quella usata la notte del massacro”.
Dunque, in sostanza, non c’è nessuna arma del delitto.
2. I dubbi, le lacune e le assurdità della ricostruzione ufficiale.
In realtà, analizzata a fondo, la ricostruzione ufficiale non sta in piedi per una serie di ragioni.
1) In primo luogo per la totale mancanza di prove valide, come stiamo per vedere.
2) Nessun elemento fisico e scientifico ricollegherà Manson alle due stragi.
3) Il movente è totalmente strampalato.
4) L’arma del delitto non verrà mai ritrovata.
5) I punti oscuri, non chiari e contraddittori, sono talmente tanti da rendere completamente inverosimile la versione ufficiale.
6) C’è poi un elemento che non viene mai considerato. L’elevato numero di morti collaterali (tra i quali vanno annoverati ad esempio l’avvocato di Manson, Ronald Hughes, e lo zio dello stesso Manson, nonché altri testimoni chiave del processo); un numero tanto alto da far fortemente dubitare che potessero essere commessi dalla “Famiglia”. Trattandosi di una comunità di drogati, strafatti, che camminavano scalzi e vivevano con mezzi di fortuna, non avevano la possibilità di agire con tanta precisione e senza lasciare traccia alcuna.
Iniziando dalla mancanza di testimonianze valide, va detto che la principale testimone, Linda Kasabian, era una drogata con una personalità disturbata. Un soggetto quindi totalmente inattendibile, che al processo dichiarò sia di essere Gesù Cristo che di essere controllata dalle vibrazioni di Manson, il quale non dava ordini, ma semplici “suggerimenti”, che però erano talmente irresistibili che chiunque avrebbe anche ucciso per lui.
Altrettanto inattendibili sono gli altri testimoni. Due dei principali testimoni dell’accusa, ad esempio, Danny De Carlo e Al Springer, appartengono a una banda di motociclisti il cui nome è tutto un programma: gli Straight Satans. Al Springer poi scomparirà nel nulla senza lasciare traccia durante il processo e di lui non si saprà più niente.
Anche le altre ragazze coinvolte hanno personalità squilibrate e drogate, tanto che, per stessa ammissione del procuratore Bugliosi, “sembravano più bambole Barbie che esseri umani”, mentre, in un’altra parte del suo libro, di una di loro ammette: “Era pazza, di questo ero certo, forse non legalmente insana di mente ma pazza lo stesso”.
Alla domanda se Charlie ordinava loro di rubare, Susan Atkins risponderà: “No, lo decidevo da sola. Ero programmata per fare diverse cose”. Programmata non tanto da Charlie, aggiungerà, ma “dall’infinito”.
Eppure è sulla base dei racconti di queste ragazze che viene formulata l’accusa contro Charles Manson.
Nella foto: la terribile gang finalmente sconfitta. 
Le testimonianze sono confuse, contraddittorie, lacunose, e in alcuni casi deliranti.
Secondo Virginia Graham, ad esempio, le vittime erano state scelte a caso.
Alcune ragazze dichiareranno che esisteva addirittura un piano per uccidere molti divi di Hollywood; quindi, al contrario della precedente, occorre presumere che ci fosse un piano per eliminare molta gente famosa. Una di loro dichiarerà che una volta Manson uccise in soli due giorni ben 35 persone. Ma Charlie era amore, dichiarerà una di loro, e uccideva per amore.
Del resto, anche i riscontri oggettivi alle testimonianze e alle varie deposizioni processuali sono quasi inesistenti.
A Cielo Drive, sulla porta, vengono ritrovate due impronte: quella dell’anulare destro di Charlie Tex Watson e quella del mignolo di Patricia Krenwinkel, sull’infisso di una porta finestra.
Ma per un omicidio del genere le impronte rilevate avrebbero dovuto essere decine o centinaia, non due.
Nella residenza dei LaBianca invece non venne rivenuta alcuna impronta, e il forchettone infilzato nella pancia di Leno LaBianca risultava ripulito dalle impronte.
Dalle testimonianze delle ragazze, poi, risulterebbe che il gruppo di killer era entrato in casa Tate disarmato, tanto da servirsi di coltelli da cucina presi direttamente nella casa; dall’autopsia però risultò che l’arma utilizzata non fosse un coltello, ma qualcosa di molto più grande e largo.
Il movente poi è talmente incomprensibile che, come racconta lo stesso Bugliosi, anche il giudice faceva fatica a capirlo e dovette farselo spiegare più volte (“Non vedo alcuna connessione tra ciò che Manson pensava in astratto sui bianchi e sui neri e un possibile movente”, dirà il giudice al procuratore). Francamente, anche a leggere il libro di Bugliosi, in realtà, non si capisce la logica che collegherebbe la canzone dei Beatles alla rivolta dei neri contro i bianchi, dal momento che tale canzone non fa cenno ad alcuna rivolta.
Tanto era poco convincente questo movente che l’altro procuratore assegnato al caso sosteneva un’ipotesi opposta, il furto (movente altrettanto strampalato, visto che i portafogli delle vittime della prima strage non erano stati toccati, né venne rubato alcun oggetto di valore dalle abitazioni).
Secondo una delle testimonianze, invece, il movente sarebbe stato “infondere paura nell’establishment”, e secondo un’altra ancora sarebbe stato la vendetta (Manson infatti era stato rifiutato e trattato male da una delle vittime, in passato). Ma non mancano ulteriori versioni, di criminologi vari, che hanno ipotizzato che dietro ai delitti ci fosse la voglia di Manson di diventare famoso, o il suo desiderio di rivalsa contro i ricchi in generale.
Veniamo ora ad una lista di incongruenze talmente gravi da far dubitare seriamente della versione ufficiale.
Anzitutto è difficilmente credibile che un gruppo di hippie che viveva con mezzi di fortuna potesse introdursi nelle abitazioni, fare una strage, e lasciare al loro posto gioielli e denaro.
Altrettanto incredibile è che potesse commettere un delitto tanto perfetto da resistere alle indagini anche di persone legate ai servizi segreti, come era il padre di Sharon Tate.
Assolutamente impossibile è poi attribuire le decine di morti collaterali alla “Famiglia”, come invece fa Bugliosi; se Manson era l’unica mente del gruppo e gli altri poco più che robot, chi e come avrebbe potuto uccidere tutte quelle persone dopo l’arresto di Charles Manson?
Ma soprattutto: perché Manson avrebbe dovuto far uccidere suo zio o addirittura il suo avvocato (peraltro l’unico avvocato che lo difendesse bene, visto che degli altri Manson ebbe a ridire, tanto da chiedere spesso alla corte di potersi difendere da solo)? Che interesse aveva?
Una delle morti collaterali è quella di Joel Pugh, ex membro della Famiglia Manson, il cui corpo viene ritrovato in un albergo di Londra, accoltellato, senza alcuna traccia o indizio che ricolleghi la vittima ai suoi assassini. Si dovrebbe presumere, quindi, che la “Famiglia” riuscisse a colpire indisturbata anche oltreoceano, il che presuppone però un’organizzazione sofisticata che solo un servizio segreto può vantare.
La cosa assurda è che nessuno si domanderà a chi devono essere attribuiti questi omicidi. Il procuratore si limiterà a dare per scontato che fosse stata la Famiglia, ma la cosa si chiuse lì.
Non sono poi solo le morti collaterali ad essere impossibili da collegare alla Famiglia, ma anche altre circostanze analoghe, tali da far pensare ad un’organizzazione molto più sofisticata e potente. Durante il processo, ad esempio, il procuratore Bugliosi riceve minacce telefoniche continue, tanto che è costretto a cambiare numero; ma le telefonate non cessano, quindi chi le eseguiva era in grado di procurarsi anche il numero riservato del procuratore. Ma se Manson era in carcere, chi aveva questo potere? Quattro ragazze squilibrate e in alcuni casi minorenni?
Anche il giudice Older ricevette minacce, tanto da temere per la sua vita.
Nelle settimane precedenti al delitto, la famiglia LaBianca si sentiva seguita e spiata. Da chi? Dalla Manson Family, ovverosia da un gruppo di sbandati, mezzi dementi, e senza né arte né parte?
Nella foto: alcuni membri della Manson Family, fuori dall’aula processuale.
Soprattutto, però, sono i fatti così come sono stati raccontati ad essere inverosimili.
Un gruppo di 5 sbandati, drogati e malvestiti, su ordine “mentale” di Manson, prende l’auto, individuando con esattezza la villa prescelta dal capo, taglia i fili del telefono per isolare la casa (il che significa però che i componenti del gruppo conoscevano il luogo e sapevano come operare, da veri esperti).
Manson, questo genio del male, invia come esecutori del delitto 4 ragazzine fuori di testa, sicuro che non commetteranno errori, che non ci saranno superstiti, e che non verrà lasciata alcuna traccia.
Ed è talmente sicuro di sé che non le dota neanche di particolari armi. Il gruppo parte per commettere una strage praticamente disarmato (unica arma in dotazione una rivoltella calibro 22).
Il quartetto entra in una casa dove sono presenti 5 persone, incurante del fatto che qualcuno degli ospiti potrebbe essere armato, reagire, ecc.; in altre parole, il gruppo di assassini sa il fatto suo e sembra avere una padronanza totale della situazione; le vittime vengono ammazzate all’arma bianca senza che queste oppongano il minimo tentativo di resistenza, eppure Linda, Susan e Leslie erano ragazze minute che pesavano sì e no 50 chili, camminavano scalze, e non avevano mai ucciso nessuno in precedenza.
Dopodiché cancellano perfettamente ogni traccia, tanto che vengono trovate solo due impronte digitali ricollegabili al delitto.
Fuggendo, nonostante abbiano avuto tutto il tempo di agire in tranquillità, non rubano portafogli, orologi, e neanche la droga che si trovava nella casa.
Nella dependance della tenuta, a pochi metri dal luogo della strage, c’era un ragazzo che, nonostante fosse sveglio, non sentirà nulla, né le urla né gli spari.
Il ritorno dopo l’omicidio, secondo Susan Atkins, era originariamente programmato... in autostop.
Una storia assurda, strampalata, e senza alcuna logica.
3. La simbologia del caso Manson.
Nessuno degli inquirenti nota alcuni particolari curiosi che, a tacer d’altro, avrebbero perlomeno dovuto insospettire.
Roman Polanski al momento del delitto non era in casa, ma in Europa a promuovere il suo film appena terminato: “Rosemary’s Baby”. Il film parla di una donna che mette al mondo un bambino per consacrarlo a Satana (nel finale infatti la donna partorisce), e nel cast figura in veste di consulente nientemeno che il fondatore e leader della Chiesa di Satana, Anton La Vey, l’autore del libro “La Bibbia di Satana”. Il film era quindi qualcosa di più di un semplice film di fantasia.
Ora, a parte la coincidenza costituita dal fatto che Sharon Tate fosse incinta, nessuno nota che la vittima della seconda strage si chiama proprio Rosemary. Nonostante questa strana, troppo strana coincidenza, nessuno ipotizza neanche lontanamente un collegamento tra la promozione del film e le due stragi.
Né viene notata anche tutta la simbologia intrinseca nel fatto. Il delitto avviene infatti a Cielo Drive, ad opera di Manson (man son, figlio dell’uomo, Cristo).
In Cielo, quindi, Cristo uccide la Rosa. Manson, il figlio dell'uomo, vive nella death valley, la valle della morte. Vive cioè nel deserto, ed è senza fissa dimora proprio come - guarda tu che coincidenza - il Cristo dei vangeli: Mt, 8, 20: Le volpi hanno una tana, e gli uccelli hanno un nido, ma il figlio dell'uomo non ha un posto dove riposare.
Manco a dirlo, il primo poliziotto ad accorrere sul luogo del delitto si chiama Jerry De Rosa.
Anche la disposizione e le modalità dell’uccisione fanno pensare ad un delitto rituale.
Infatti, due delle vittime (Tate e Sebring) vengono trovate legate insieme e, guarda caso, un tempo erano amanti. Questo particolare è abbastanza sospetto, e dovrebbe perlomeno fari ipotizzare agli investigatori due cose: che gli assassini conoscessero bene il passato delle vittime (e Manson non lo conosceva) e che potesse trattarsi di una sorta di vendetta. I sospetti cioè sarebbero dovuti ricadere su Polansky, che alcuni considerano tutt'oggi uno dei mandanti della strage, ma nessun investigatore batte questa pista.
Leno LaBianca era proprietario di una catena di ristoranti, e nel ventre gli viene trovato infilzato un forchettone da cucina.
Gli assassini pare cioè abbiano usato una sorta di contrappasso, una modalità troppo sofisticata per poter essere attribuita a 4 ragazzine fuori di testa.
Da ultimo, c’è da segnalare che anche il nome della vittima più importante sembra non essere affatto casuale: Sharon (il versetto biblico del Cantico dei Cantici: “Io sono la Rosa di Sharon, il Giglio delle Valli”, da cui è tratta la simbologia rosacrociana della rosa e del giglio, che sono anche i simboli di Israele).
In altre parole, la rappresentazione posta in essere è questa: in Cielo (Cielo Drive), il Figlio dell’Uomo (Manson), proveniente dalla Death Valley (Valle della Morte), uccide la Rosa.
4. Il caso Manson e il caso Bestie di Satana.
Il mio interesse per il caso Manson nasce per il parallelo con la vicenda di cui mi occupo da qualche anno ormai, quella delle Bestie di Satana.
Queste due infatti rappresentano le vicende più importanti al mondo in materia di satanismo, nel senso che si tratta degli unici casi giudiziari in cui una “setta” viene condannata per più omicidi. Molto spesso si indica la “Famiglia” anche con il termine “la setta Manson”.
In realtà noi sappiamo che le Bestie di Satana erano tanto poco una setta che già la sentenza di secondo grado escluse il delitto di associazione a delinquere; nessuna setta, dunque, esiste negli atti processuali, ma per i media la cosa non conta.
Quanto alla Manson Family, anche qui non c’era alcuna organizzazione, perché una setta è, per definizione, un gruppo chiuso, con regole rigide, mentre nella “Famiglia” la gente andava e veniva, e non c’era alcuna norma da seguire (secondo Bugliosi la famiglia contava da 30 a 100 elementi a seconda dei periodi); nessuna setta, quindi, anche a livello processuale, ma è notorio che i media non tengono mai conto della verità, inventandosi di sana pianta intere parti del (già falsificato e distorto) racconto processuale. E l’unica traccia di satanismo in questa vicenda è unicamente il racconto di alcuni testimoni secondo cui Charles Manson si faceva chiamare spesso “Satana”.
Inoltre il mio è un interesse più generale, perché spesso mi si accusa, dal punto di vista metodologico, di vedere troppi simboli e di ricavare unicamente da essi l’esistenza di una regia unica in molti delitti. In realtà non è così, perché ho più volte individuato delle costanti processuali ben precise nei vari casi giudiziari (assenza di movente, mancanza dell’arma del delitto, assenza di prove fisiche, in particolare di macchie di sangue che ricolleghino vittime e assassini, la sempre bassa scolarità degli assassini); ma l’analisi approfondita di vicende importanti come quella Manson e quella delle Bestie di Satana porta ad evidenziare una serie di costanti processuali ancora più evidenti, tali da far emergere una vera e propria regia unica. 
Infatti anche nel caso delle Bestie di Satana, come ho detto più volte e in varie sedi, manca l’arma del delitto, non si individua il movente, i testimoni sono dei drogati inattendibili che si contraddicono continuamente e cambiano ripetutamente versione.
Ma le analogie arrivano fino a particolari minimi, solo apparentemente secondari.
Impossibile elencarle tutte, ma quelle che mi hanno più colpito sono le seguenti:
Innanzitutto la tipologia degli assassini è quasi identica, nonostante le apparenti diversità (hippie e in prevalenza donne, la famiglia Manson; metallari e prevalentemente maschi, i componenti delle Bestie di Satana). Si tratta di ragazzi, alcuni minorenni, sbandati, drogati, e in alcuni casi con forti tare mentali.
Tutte e due le bande, poi, nonostante fossero composte prevalentemente di questa categoria di sbandati, riescono a commettere una serie di delitti perfetti, da far invidia ad associazioni organizzate ed efficienti come mafia, camorra o ’ndrangheta, e da resistere alle indagini addirittura dei servizi segreti.
Secondo Linda Kasabian, la notte del delitto nessuno dei partecipanti alla strage si era drogato; dovevano infatti essere lucidi per commettere gli omicidi. In realtà il drogato ha bisogno della droga particolarmente nei momenti in cui deve spingersi a fare qualcosa di inusuale o di emotivamente coinvolgente, quindi è impossibile che per una sola notte un tossicodipendente scelga di rimanere lucido. La cosa sorprendente è che anche Nicola Sapone, secondo i “pentiti” Volpe e Maccione, pretendeva che la notte del delitto fossero tutti lucidi. Due identiche assurdità, quindi, per due delitti completamente differenti per luogo e tempo.
Un’altra analogia è che Sapone, raccontano i “pentiti”, intingerà la sigaretta nel sangue e se la fumerà; Susan Atkins fece una cosa analoga, assaggiando il sangue e trovandolo buono, quasi un “trip”.
Oltre ai delitti principali, vengono attribuiti alle Bestie di Satana una serie di delitti collaterali: 22 almeno gli omicidi commessi dalla setta e rimasti irrisolti, secondo i media italiani; decine i delitti commessi da Manson e rimasti senza colpevole, secondo le cronache americane. Anche qui colpisce come sia Maccione che Susan Atkins useranno le stesse parole: “Ci sono stati 11 omicidi che non risolveranno mai”, disse Susan; “Ci sono almeno 22 omicidi che non risolveranno mai”, disse Maccione.
In realtà poi il numero di omicidi cambia continuamente in entrambe le vicende, ma si tratta sempre, comunque, di decine di casi.
Susan Atkins, una delle ragazze coinvolte, che – come Maccione – si confiderà in carcere con la persona con cui condivide la cella, affermava di aver avuto molte esperienze paranormali (come Maccione).
Paolo Leoni è considerato il capo della setta, ma stranamente non è mai presente agli omcidi, limitandosi a dare gli ordini; idem per Manson, che si limita a dare degli ordini (addirittura, secondo una delle ragazze, l’ordine sarebbe stato dato mentalmente).
Durante le indagini sulla scomparsa di Christian Frigerio, gli inquirenti non trovano nulla, nessuna traccia, indizio o testimone; in compenso una troupe televisiva (quella di Italia Uno) trova un giubbotto e un cappellino di Christian, sotto ad un materasso abbandonato in una discarica. La troupe si dà appuntamento in un determinato luogo con la madre di Christian, e (sorpresa!) trovano per miracolo il cappellino, un giubbotto e un cacciavite di Christian.
Anche nel caso Manson, dopo qualche mese sarà una troupe televisiva a trovare gli abiti che la sera del delitto la banda Manson aveva buttato in un dirupo per cambiarsi i vestiti sporchi di sangue con altri puliti; dopo mesi di freddo, pioggia e intemperie, gli abiti sono lì, in bella mostra, e per caso la troupe li nota da lontano.
Anche per il delitto Manson, come accade nella vicenda milanese, viene pubblicato un libro sulla vicenda (“The killing of Sharon Tate”), prima che venga emanato il verdetto, dove ovviamente Manson viene dato – manco a dirlo – per colpevole.
In entrambi i casi, uno dei pochi libri è scritto dal procuratore che si occupa delle indagini (in Italia il libro era “Voci dall’incubo”, a cura del giornalista Moroni, in cui era riportata la storia del PM Pizzi; mentre in America si intitola “Helter Skelter”, a cura di Vincent Bugliosi).
E sia per la vicenda Manson, sia per quella delle Bestie di Satana, sono quasi inesistenti i libri pubblicati successivamente, che approfondiscano o smentiscano la tesi ufficiale.
Stranamente nessun avvocato pensa a scrivere la sua versione.
Forse perché, come dice lo stesso Manson al processo, “gli avvocati giocano con la gente, e sono interessati ad una cosa soltanto, la pubblicità. Non c’è un solo avvocato al mondo che mi possa rappresentare” (pag. 265). In entrambe le vicende, quella italiana e quella americana, infatti, gli avvocati sono convinti della colpevolezza dei loro assistititi e, stranamente, l’unico avvocato che per la vicenda Manson invece credeva il contrario viene trovato morto.
Se durante la vicenda delle Bestie di Satana le intercettazioni sui ragazzi coinvolti non danno alcun riscontro, è perché Paolo Leoni e gli altri sono “troppo furbi”; e se Manson non lascia tracce o non ha mai comportamenti che lo inchiodino alle sue presunte responsabilità, è perché è troppo furbo. Il che mi riporta alla mente le parole della madre di una delle vittime della vicenda milanese che, dopo avermi conosciuto, mi ritiene in buona fede ma non riesce a convincersi dell’innocenza di Paolo Leoni, e la sua unica spiegazione è che Leoni è talmente furbo da avermi incantato e imbambolato. Un ipnotizzatore, insomma, come Charles Manson.
Il processo alle Bestie di Satana venne definito dalla BBC come il più shockante caso di cronaca giudiziaria in Europa dal 1945 in poi; quello Manson fu definito dalla stampa americana e dallo stesso procuratore Bugliosi il più efferrato delitto della storia americana. Il messaggio insomma è chiaro: i delitti più efferati sono commessi da drogati e/o minorenni e/o squilibrati mentali, non da colletti bianchi, professionisti, imprenditori, politici.
Le analogie sono talmente tante, talmente forti, talmente evidenti, da far sospettare molto di più di una semplice storia inventata ad arte.
Dietro questi delitti c’è una regia unica, che usa le stesse metodiche, le stesse tecniche, la stessa tipologia di attori, e gli stessi schemi.
Il che, come stiamo per vedere, emerge anche da una serie di analogie impressionanti con altri delitti, italiani o americani.
5. Il caso Manson e altri delitti celebri.
Leggendo la storia del caso Manson vengono alla mente molte altre analogie, non solo quelle con il processo alle Bestie di Satana.
Viene alla mente il caso di Erba, dove Rosa Bazzi, una donna alta 1,47 metri, priva di qualsiasi cultura, riesce a tenere a bada persone che sono il doppio di lei, accoltellarle varie volte e poi sfondare loro il cranio.
Viene alla mente il caso del Mostro di Firenze: quattro contadini dementi e analfabeti che tengono in scacco polizia e servizi segreti, e che riescono a far sparire testimoni, minacciare giudici, tagliare la corrente sul luogo del delitto, ecc. Viene alla mente il caso di Damien Echols, identica sceneggiatura, identici attori (minorenni ritardati), identiche prove (inesistenti). Vengono in mente tanti casi, troppi, che dovrebbero essere riaperti, ma che in alcuni casi non lo saranno mai, per il semplice motivo che la pena di morte ha messo una pietra tombale sulla possibilità di approfondire, come nelle vicende di John Wayne Gacy o di Jeffrey Dahmer. A coloro che leggendo queste righe diranno, come è prevedibile, “ma possibile che per Franceschetti sono tutti innocenti?”, “una sorta di super agenzia internazionale per delitti seriali? ma è fantascienza!”, “ma non è possibile che in una società democratica succedano queste cose”, rispondo con un invito alla riflessione: per una élite dominante che non esita a mandare a morire milioni di persone in Iraq con la scusa delle armi chimiche, che non esita a distruggere la Libia con la scusa che bisogna proteggere la popolazione civile dal cattivo dittatore che fino al giorno prima era in affari con l’occidente, ecc., 7 persone uccise a Los Angeles non rappresentano nulla, mentre Charles Manson e la sua Famiglia, vivendo in un deserto con gli avanzi dei supermercati, sono scarti della società, rifiuti che possono tranquillamente essere sacrificati per proteggere i potenti che sono i veri responsabili di questi delitti. Le vittime delle Bestie di Satana sono, in fondo, poche decine, mentre i ragazzi in galera sono avanzi della società, rifiuti che non contano nulla. L’essere umano, per loro, è solo carne da macello.
Mentre il mondo intero è terrorizzato dalle Bestie di Satana che hanno massacrato brutalmente 4 persone, e dalla Manson Family che ne ha massacrate 7, persone rispettabili come Presidenti del Consiglio, generali, politici, massacrano milioni di persone in guerre inutili, senza che nessuno lo trovi strano, e distruggono intere famiglie con una crisi economica provocata ad hoc.
Charles Manson è tuttora in carcere, per delitti che non ha commesso.
Paolo Leoni, Nicola Sapone, Eros Monterosso e Marco Zampollo, sono tuttora detenuti per delitti simili, innocenti. Obama invece è Premio Nobel per la pace e la gente fa a gara per poterlo acclamare, venerare, incontrare.
E viene da pensare alle parole di Charles Manson, quando il presidente Nixon dichiarò di ritenerlo colpevole: “Ecco uno che ha ammazzato milioni di persone con la guerra in Vietnam, e che mi accusa di sette omicidi”.
Impossibile non dare ragione a Manson, e difficile dare ragione al procuratore Bugliosi. Nel 1994 il cantante rock, oggi di fama internazionale, Brian Warner assume il nome d’arte di Marilyn Manson per ragioni non del tutto chiare; a mio parere, invece, l’assunzione del nome è una sorta di protesta contro la facciata ipocrita della società, di cui Marilyn Monroe e Charles Manson rappresentano, per ragioni diverse ma in fondo simili, due esempi importanti e significativi. Marilyn Monroe rappresenta il simbolo della falsità di una società che fa diventare una ragazza normale, dal nulla e senza motivo, una star internazionale, per poi ucciderla quando non serve più. Charles Manson rappresenta il mostro da sbattere in prima pagina per tranquillizzare la società, per trasmettere il messaggio che il mostro è fuori di noi e non dentro la società stessa. La vicenda Manson rappresenta in realtà anche una sorta di contrappasso della società verso il movimento hippie. Erano infatti gli anni della guerra in Vietnam, e il movimento hippie, che parlava di amore e libertà e che non si adattava alla società dei consumi, contestava duramente il sistema e la violenza di esso. Ma il sistema non si lascia processare facilmente e, per contrappasso, processò il movimento hippie, dandogli un colpo mortale con la grandiosa messa in scena del caso Manson.

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